Gedwëy Ignasia Forum ~ Eragon, Ciclo dell'Eredità, Christopher Paolini, Scrittura

When the World ends

Contest

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Shalentir
        +1   -1
     
    .

    User deleted



    L'anno scorso ci siamo dedicati al Natale. Potevamo ripeterci quest'anno? Ovviamete no! Quello che vi proponiamo, comunque, non vi impedirà di parlare del Natale, se vorrete ;)
    Quindi...pochi giorni fa è passato il fatidico 21 Dicembre 2012. La data della fine, no? Ma la fine non c'è stata, ed è per questo che noi ne possiamo scrivere. "When the world ends", ovvero quando il mondo finisce. Parliamo della fine del mondo. O della fine che non c'è stata.
    Ecco quindi quello che il contest vi chiede: un racconto che riguardi la fine del mondo. Questo non significa che dobbiate far accadere l'apocalisse. Per essere più precisi, dovete scrivere un racconto che riguardi il 21/12/2012, perché potrete raccontare del mondo che finisce, del mondo dopo che è finito, oppure del mondo che non è finito. Cosa succederà in questo mondo, sta a voi deciderlo, ecco perché vi dicevo che nessuno può impedirvi di raccontare il Natale.
    Buona stesura a tutti :D

    Merry Christmas! <3

    Postate pure i racconti qui sotto. Possono partecipare sia racconti scritti apposta sia racconti scritti in altre occasioni, sempre inerenti al tema. Scadenza: 6 Gennaio 2013, ore 23:59

     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Stregone del Du Vrangr Gata

    Group
    Member
    Posts
    558
    Reputation
    +1
    Location
    Aprilia, LT

    Status
    Anonymous
    Hopeless + Commento


    “Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?” Sdraiato sul suo dorso, la faccia posata nella pelliccia morbida, mi sembra di essere in paradiso. Quanto ho desiderato farlo, all’epoca.
    “Eri felicissimo.” Si gira, facendomi scivolare sull’erba. Mi metto seduto e lo guardo negli occhi. “Anche tu lo eri.” Ribatto con una smorfia. Mi sorride, ma non risponde. Scuoto la testa e mi sdraio al suo fianco, felice della sua presenza come lui lo era della mia.
    Son passati ben tre anni, ma al pensiero di quel 21 Dicembre il cuore accelera i suoi battiti e la mente corre ad aprire il cassetto dei ricordi. Ed una volta aperto non si può chiudere finché non è vuoto.

    Guardo fuori dalla finestra. La voce della professoressa che parla dei moti della terra è solo un mormorio lontano. Do un’occhiata all’orologio: mezzogiorno e cinque. Suona la campanella, tutti si alzano per la ricreazione. Nella confusione generale metto libro e quaderno di scienze nello zaino. Sbuffo. Ancora due ore alla fine dell’ultimo giorno di scuola.
    Sento i miei compagni che parlano della fine del mondo. Bah, stronzate. Mi vado a poggiare sul termosifone vicino la finestra, per scaldarmi un po’. Osservo la classe. Il chiacchiericcio dei gruppetti che si sono formati fa da sottofondo ai miei pensieri.
    Torno a guardare fuori dalla finestra. Una nuvola solitaria si muove pigra nel cielo, spinta dal vento. Mi sento esattamente come quella nuvola: solo, trascinato dalla corrente senza poter fare nulla. Non un amico su cui contare, qualcuno che riesca davvero a comprendermi.
    Un suono ritmico, ovattato, rompe il filo dei miei pensieri. Ascolto meglio, cercando di capire di cosa si tratti. Gli altri continuano a chiacchierare che se nulla fosse; sembra sia l'unico ad aver notato quel ritmo.
    Un brivido mi percorre la schiena mentre un presentimento va formandosi nella mia mente: conosco quel suono. Ne ho letto un'infinità di volte, ho sempre desiderato poterlo sentire realmente. Il cuore accelera i suoi battiti. Una scarica di adrenalina mi attraversa da capo a piedi. Scatto verso la porta, diretto alla terrazza in cima all'edificio. Mi muovo veloce nei corridoi, incurante dei professori che mi urlano di rallentare. Sono sordo a tutto tranne che a quel ritmo costante, incomprensibilmente forte nelle mie orecchie.
    Arrivo sul terrazzo con il fiatone. Mi piego sulle ginocchia per riprendere fiato, poi alzo la testa al cielo, sapendo cosa aspettarmi. Vicino all'orizzonte si muove un nugolo multicolore. Una figura si stacca dalle altre per venire proprio nella mia direzione. Sento il cuore che quasi mi scoppia in petto. Il momento che per anni ho sognato è finalmente arrivato. La creatura si avvicina sempre di più, le ali che sbattono ritmiche. Riconosco il colore della sua pelliccia nera. Gli occhi si riempiono di lacrime.
    Il drago atterra a un paio di metri da me. Mi avvicino lentamente, le gambe mi reggono a stento. Allungo una mano tremante. Ho paura. Paura che sia un sogno come mille altri. Paura di svegliarmi e ritrovarmi nel mio letto. Ma soprattutto paura della rabbia e dello sconforto che inevitabilmente mi prenderebbe. Le dita affondano nella pelliccia morbida del suo petto: no, non è un sogno. Ritraggo di scatto la mano. Un brivido mi percorre la schiena. Finalmente posso farlo veramente...
    Mi tuffo letteralmente su di lui, stringendolo a me con forza. Seppellisco la faccia nella sua pelliccia e le lacrime cominciano finalmente a scorrere sul mio viso. "Tork" riesco solo a mormorare. Alzo la testa e lo vedo per la prima volta in faccia. Mi sorride, lasciando intravedere due file di denti affilati. Fisso i suoi occhi. Occhi fieri di guerriero, ma anche occhi capaci di voler bene. Sento di amarli.


    Mi giro verso Tork mentre il ricordo sbiadisce. Ha gli occhi chiusi: dorme. Lentamente salgo su di lui, accoccolandomi sul suo petto. Chiudo gli occhi, sapendo che al mio risveglio lui sarà ancora lì.
     
    Top
    .
  3. Shalentir
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Ecco il mio racconto!
    Lysem appoggia lo zaino accanto alla gamba del tavolo e si siede sulla piccola seggiola di legno chiaro. Appoggia i gomiti sulla superficie grigia e liscia.
    «Ciao» sussurra, voltando la testa verso Nifer.
    Il ragazzo alla sua sinistra piega leggermente la testa in avanti, un ricciolo biondo gli ondeggia sulla fronte. «Buongiorno, Ly.»
    Lysem apre la cartella e tira fuori il quaderno arancione di matematica.
    «Mai una volta che l’autobus arrivi in orario.» Sbuffa. «Da quanto è in classe?» Alza appena il mento verso la professoressa dall’altro lato della classe.
    Nifer socchiude le palpebre e le fa tremare. Scuote la testa e appoggia le mani di fronte alla bocca. «Boh, sono particolarmente rincoglionito stamattina» dice, schiudendo solo la parte destra delle labbra.
    Lysem sorride, prende l’astuccio dallo zaino.
    «Stamattina, eh?»
    Nifer alza le spalle e solleva l’angolo della bocca.
    Lysem apre il quaderno e tira la penna fuori dall’astuccio blu. «Allora come va con la tizia, lì? Che hai combinato ieri?»
    Nifer sbatte gli occhi tre volte. «Tizia chi?» sussurra.
    «Mef!» grida la professoressa dietro la cattedra. Lysem alza una mano.
    «Dai, su! Non mi viene il nome, or. Cosa, dai!»
    Nifer stacca la bocca dalle mani, la spalanca con gli occhi, abbassa le palpebre, chiude le labbra e scuote la testa. Sorride.
    «Va, va.» Gira la testa verso di lui. «Tu, invece, quando ti decidi a provarci con l’altra tizia, là?»
    Lysem abbassa gli occhi. I quadretti del quaderno si susseguono ipnotici…
    «Ly?»
    Lysem scuote la testa. «Sì, eh?» Raddrizza la schiena e si appoggia allo schienale. «Sì, no, non ho tempo.» Rotea gli occhi. «C’è troppo da studiare.»
    «Dym!»
    Nifer si volta verso la professoressa. «Presente!» Annuisce e gira le iridi verdi verso di lui. «Sarà…»

    La campanella trilla in tutta la stanza, Lysem butta la penna dentro l’astuccio, lo chiude e lo getta nella borsa. Chiude il quaderno e lo mette via, allaccia le cinghie della cartella e si alza dalla sedia. Prende la giacca grigia.
    Nifer afferra una mano con l’altra e spinge le braccia verso l’alto. «Con calma» biascica, sbadigliando.
    Lysem si avvolge il collo con la sciarpa bianca e ride. «Fai, fai. Io perdo l’autobus!»
    Si abbassa, prende lo zaino e se lo mette sulle spalle. «Ciao!» urla, correndo fuori dalla classe. «Arrivederci, prof!»
    La professoressa si trascina dietro la borsa e mugugna una risposta.
    Nifer si alza dalla sedia. «A domani, Ly!»

    Lysem butta lo zaino sul parquet scuro, si toglie la sciarpa bianca e la giacca grigia e le getta sul letto.
    Si lascia cadere a sedere sulle coperte verdi, appoggia i gomiti sulle ginocchia e preme i palmi contro gli occhi chiusi, muovendoli in cerchio.
    Sospira.
    Come te lo dico? Te lo dico?
    Nifer sorride nel buio.
    Non te lo dico. No, non mi sembra il caso. No, non posso dirtelo.
    Il sorriso si trasforma in un ghigno.
    Lysem tossisce, spinge l’aria fuori dal naso.
    Ma io voglio dirtelo.
    Si struscia le mani sulla faccia e fa un profondo respiro. L’aria gli si incaglia in gola, lo graffia. Respira ancora, ma l’aria si aggruma in gola con la saliva, il respiro non arriva ai polmoni.
    Lysem tossisce, tossisce, ha un conato di vomito.
    Spinge la saliva giù per la gola, inspira. Stringe la mano sulla tasca, vi infila dentro le dita. Espira. Prende il cellulare, sblocca la tastiera e crea un nuovo messaggio.
    “Io…”
    Cancella.
    “Ciao…”
    Cancella.
    Avvicina di nuovo il pollice ai tasti, il dito trema sopra tutta la tastiera. Pigia il tasto rosso. “20 dicembre 2012”, dice il display.
    Lysem stringe il cellulare tra le dita e lo schiaccia sul letto.
    Si alza in piedi e raggiunge la finestra vicina alla testa del letto.
    «Tanto il mondo non finirà.»
    Si volta e cammina verso l’altro lato della camera.
    «Andiamo, quella del ventun dicembre duemiladodici è una cazzata assurda.»
    Piega la testa in avanti e chiude le mani a pugno.
    «Perché dovrei crederci? Ho tutto il tempo che voglio.»
    Striscia le dita sui palmi, le fa serpeggiare nell’aria. Solleva la testa. Si volta e cammina di nuovo verso la finestra.
    «Però, se fosse vero…»
    Sospira.
    «Non riesco più a tenermelo dentro» sussurra.
    Chiude gli occhi e incrocia le braccia sul petto.
    «Non vorrei morire senza averlo detto a nessuno. No davvero.»
    Serra le dita sulle braccia, apre gli occhi e si appoggia al davanzale.
    «Almeno a lui dovrei dirlo.»
    Si spinge sulla pietra bianca, si gira e riprende a camminare.
    «Ma potrebbe non parlarmi più.»
    Scuote la testa.
    «Io so quello che ne pensa, perché dovrei essere così cretino da dirglielo?»
    Sbatte i palmi contro la fronte.
    «Perché è mio amico, e mi fido. Non dovrebbe bastare?»
    Ringhia.
    «Cazzo, quanto ho paura» sussurra.
    Si morde il labbro inferiore, trema.
    Si volta e appoggia la schiena al muro, si lascia scivolare verso il basso, avvicina le ginocchia al petto e le avvolge con le braccia.
    Pigia una guancia contro le gambe.
    «Almeno a lui dovrei dirlo, prima che tutto finisca.»
    Si morde una guancia.
    «Prima di morire» mormora.
    Una lacrima gli scende lungo la guancia e scompare nella stoffa scura dei pantaloni.

    Lysem cammina tra i banchi e il muro bianco.
    Ok, se il mondo sta per finire gliela do.
    Stringe le dita intorno alla busta gialla che tiene nella tasca della giacca grigia.
    Se non succede niente, me la tengo per me.
    Appoggia lo zaino a terra e si mette a sedere. Nifer ha i gomiti appoggiati sul banco e la faccia tra le mani.
    «Buongiorno» dice con voce atona. Sbadiglia.
    Lysem deglutisce. «Ciao, Ni.»
    Si toglie la sciarpa bianca, apre la cartella e ce la schiaccia dentro.
    «Oggi dovrebbe finire il mondo, eh?»
    Sorride, gli angoli della bocca gli tremano.
    Nifer si struscia le mani sulla faccia. «Almeno poteva finire prima che mi svegliassi.» Sbadiglia.
    Lysem alza le sopracciglia, solleva le guance sugli occhi.
    «Buongiorno, ragazzi!»
    La professoressa entra in classe. I capelli biondi svolazzano sopra le sue spalle.
    «Arrivo subito, eh!»
    Appoggia la borsa nera sulla cattedra, srotola la sciarpa bianca e la mette lì accanto. Si volta ed esce dalla porta, chiudendosela dietro.
    Lysem sospira. «Ah, non c’ha voglia manco oggi. Bello.»
    Nifer si tira indietro e alza le braccia verso l’alto, volta la testa verso di lui. «Lo dici come se ti dispiacesse!»
    Lysem scrolla le spalle.
    Nifer spinge indietro la sedia, fa sollevare le gambe davanti e si appoggia con la schiena al muro.
    «Magari non interroga.»
    Lysem serra le labbra e deglutisce. Annuisce e socchiude gli occhi.
    «Che hai stamattina?» chiede Nifer, riappoggiando la sedia a terra.
    Lysem stringe la mano intorno alla busta gialla, la fa scivolare nello zaino e scuote la testa.
    «Niente, niente.»
    La porta si apre di scatto e la professoressa entra a grandi passi.
    «Vi ho visti che chiacchieravate, eh! Tutti!»
    Raccoglie gli occhiali dal collo, se li infila e solleva gli angoli della bocca chiusa verso l’alto. Il doppio mento si affaccia sotto il suo viso.
    «Ah ma ora vi interrogo!»
    Ridacchia.
    Nifer gira gli occhi vero Lysem. «Perfetto!» sussurra, corrugando la fronte.
    La professoressa sposta la sedia e si guarda intorno. Raccoglie i lunghi capelli biondi con una mano e li butta sulla spalla sinistra.
    «Interrogo Emos!»
    Emos sospira. «Noooo, ma perché prof!»
    La professoressa punta un dito contro il ragazzo. «Aha! T’ho beccato che non hai studiato, eh! C’ho il sesto senso!»
    Ride.
    Lysem rotea gli occhi.
    Tutto così stupidamente inutile. Finisci, cazzo. Muoviti, mondo!
    Il pavimento trema.
    È un secondo.
    Lysem afferra il termosifone dietro di lui, con l’altra mano stringe il banco. La sedia si muove, tutto si muove.
    La professoressa volta gli occhi spalancati da una parte all’altra della classe.
    Tutto si ferma.
    Nifer sbuffa. «Cazzo!» dice a bassa voce.
    Lysem fa un respiro profondo. «La prof ti ha sentito» sussurra.
    La professoressa stringe le mani intorno alla cattedra. «Sì, l’ho sentito.» Inspira. «Ma ha ragione.» Muove la mano verso la porta. «Muovetevi, tutti fuori!» Abbassa la testa. «’Sti Maya c’avevano ragione» dice a bassa voce.
    Le sedia strusciano sul pavimento, tutti si mettono in fila e scorrono fuori dalla porta. Lysem cammina davanti a Nifer e getta sguardi indietro.
    Imboccano le scale.
    Lysem deglutisce.
    Glielo dico. Sì.
    Spalanca gli occhi e si morde un labbro.
    Cazzo!
    Stringe i pugni e si volta.
    «Devo tornare in classe.»
    Nifer aggrotta la fronte. «Ma sei scemo? Non puoi!»
    Lysem gonfia le narici e si morde una guancia. Si sposta di lato e corre le scale verso l’alto.
    «Dai!» urla Nifer.
    La professoressa allarga le braccia. «Lysem dove vai? Sbrigati a scendere.»
    «Prof, ho lasciato una cosa in classe.»
    La professoressa alza le spalle. «E lasciala lì!»
    Lysem scuote la testa, le lacrime spingono per sgorgare. «Non posso!»
    Scarta di lato e corre verso la classe.
    «Lysem, ti metto una nota!» grida la professoressa.
    Gli altri alunni gli scorrono intorno come onde di un fiume, ma Lysem va controcorrente, raggiunge la classe, si fionda sullo zaino e stringe le dita intorno alla busta gialla.
    La terra trema.
    «Cazzo!»
    Lysem si alza in piedi e corre verso la porta, la busta stretta tra le mani. La terra si ferma, Lysem scende le scale, Nifer gli si para davanti.
    «Dovevi prendere quella?» dice, indicando la busta. «Che è, il tuo tesssoro?»
    Una lacrima scende lungo la guancia di Lysem.
    Nifer sorride. «Oh, andiamo!» Gli dà una pacca sulla spalla. «La prof sta sclerando.»

    I sassi biancheggiano colpiti dal sole freddo.
    «Ma ti pare che devi rischiare la morte così? Per prendere una busta!» grida la professoressa. Alza le mani in aria e le scuote. «Cose da matti.» Le mani sbattono sui fianchi. «Che è poi?»
    Lysem alza le spalle.
    «No, ora lo dici, perché hai rischiato di morire! Senza considerare che poi ci andavo di mezzo io!»
    Lysem stringe i denti, alza la testa. «Stiamo tutti bene, no?» Fissa gli occhi in quelli marroni della professoressa. «Problema risolto.»
    La professoressa aggrotta la fronte, spalanca gli occhi e la bocca. Si volta e scuote la testa.
    Nifer stringe una mano intorno al braccio di Lysem e lo fa voltare.
    «Si può sapere che ti è preso? Non hai mai, mai risposto ad un prof.»
    I sassi scricchiolano sotto i piedi che si muovono, un chiacchiericcio confuso riempie l’aria. La polvere smossa gli si insinua nel naso.
    Lysem distoglie lo sguardo e stringe le dita sulla busta.
    Nifer alza le braccia. Stringe di nuovo la mano sul braccio di Lysem e lo trascina lontano dagli altri.
    «E tutto per una busta, poi!» Sbuffa. «Si può sapere che cos’è?»
    Lysem deglutisce. No, non te lo dico. Scuote la testa.
    «Possibile che vogliate saperlo tutti? Ma chissà che ve ne frega, poi!»
    Nifer spinge la testa indietro e spalanca gli occhi.
    «Certo che me ne frega, cazzo! Potevi morire! Io…»
    Abbassa la testa e fa un respiro profondo.
    «Ho avuto il terrore di perderti, capisci?»
    Lysem trattiene il fiato. Tira su col naso. Alza la mano in cui stringe la busta e la allunga verso Nifer.
    «È per te.»
    Nifer strabuzza gli occhi e prende la busta. Apre la bocca, la richiude.
    Lysem si volta e cammina sul breccino che scricchiola sotto i suoi passi pesanti.

    «E quindi gliel’hai detto.»
    Lysem dondola la testa da una parte e dall’altra.
    «Gli ho dato una...» Avvicina i denti e solleva gli occhi verso l’alto. «Lettera.»
    Vilsia apre la bocca e lo indica. «Fifone!»
    Lysem strabuzza gli occhi. «Volevo vedere te!»
    Vilsia butta indietro i capelli castani, la ciocca viola riflette la luce di un lampione. «Io sarei andata lì e l’avrei baciato.»
    Lysem ride, si piega in avanti sulla sedia e stringe le braccia intorno al petto. «Ma io non voglio baciarlo!»
    Vilsia si gratta con l’indice il piccolo naso. «Ma infatti te hai chiesto quello che avrei fatto io.» Fa la linguaccia.
    Lysem tira su col naso, sorride e infila le mani in tasca.
    Gli occhi verdi di Vilsia rilucono. «Eeeee…ti ha fatto sapere niente?»
    Lysem aggrotta la fronte. «Calma, gliel’ho data oggi! Dagli il tempo di pensare.»
    Vilsia schiude le labbra e sbuffa dal naso. «Ma non c’è da pensare! Dovrebbe solo dirti ‘grazie’.»
    Lysem ride. «Ma grazie di che?»
    Vilsia spinge in alto le sopracciglia e muove piano la testa a destra e a sinistra. «Di esserti fidato di lui?»
    Lysem struscia una mano sull’altra e ci alita sopra. «Ma oggi c’è tipo stato il terremoto e noi siamo qui a discutere di questo?»
    Vilsia solleva le spalle, tira in basso i guanti neri. «Visto che i Maya si sbagliavano…»

    Lysem si ferma al primo banco del ferro di cavallo. All’angolino, al suo posto, c’è seduto Luca. Lysem storce la bocca da un lato e deglutisce.
    Luca alza una mano e sorride. «Posso stare qui? Dai, solo per oggi.»
    Nifer abbassa lo sguardo.
    Lysem butta lo zaino a terra, sbuffa e si mette a sedere lì, al primo banco. Appoggia la testa sulle braccia incrociate sul tavolo e fissa un palla di carta abbandonata accanto al cestino.
    E quindi è così. Così che va, così che finisce. È così che butti nel cesso anni di amicizia. È così che mi spezzi il cuore, l’anima e ogni cosa di me che possa essere rotta.
    Fanculo.

    Chiude gli occhi, e spinge indietro le lacrime.

    Lysem chiude il libro che tiene in mano e lo appoggia sul letto. La carta gialla riluce sulle coperte blu come la luna nella notte.
    Lysem sospira.
    Raggiunge il computer, smuove il mouse. In basso, sulla barra delle applicazioni, l’icona di Mozilla dice: “(1) Facebook - …”
    Lysem sussulta, clicca sull’icona. La finestra si allarga sul mare bianco e blu del social network. Quell’uno tra parentesi è un nuovo messaggio, Lysem trattiene il fiato, muove veloce la freccia bianca fino all’icona azzurrina.
    Clicca.
    Sospira.
    Vilsia.
    Fanculo.
    Apre il messaggio.
    “Ancora niente?”
    Lysem si siede. Abbassa gli occhi sulla tastiera, inclina la testa in avanti e socchiude le palpebre. Strizza gli occhi e appoggia le dita sui tasti.
    “No”.

    Dopo che mi hai investito e macellato, così mi rovino ogni singolo giorno di vacanza. Ogni volta che Facebook mi dice, con quella voce stupida che immagino abbia, “C’è una nuova notifica”, io sussulto. Tremo, per un attimo. Però non sei tu, mai.
    Eppure io continuo a sperarci, ogni singola volta, ogni stramaledetta stupida volta.
    Perché, non so, forse mi immagino che mentre io sono qui a struggermi, tu stia pensando, da qualche parte. Forse spero che ti sia fermato a riflettere, che tu ti nasconda nel silenzio perché non sai quali sono le parole più giuste da dirmi.
    E invece sarai là fuori a divertirti, magari a ridere di me. O anche no, non mi importa. L’unica cosa che conta è che io sono qui, a morire lentamente, ad aspettare un tuo segno, anche un minimo indizio. E invece tu vai avanti, vai oltre e la tua vita scorre, ma lontano da me, non mi sfiora neppure.
    Perché sto scrivendo? Sono uno stupido. Ti ho consegnato delle parole una volta e non lo farò mai più. Ma allora perché continuo a scrivere per te?
    Ho distrutto anche il giorno più bello dell’anno, a causa tua. Il Natale è volato via così, come un altro stupido e maledetto giorno di attesa. Perché io ancora non so cosa tu abbia cercato di dirmi quel giorno, non volendomi accanto a te.
    O magari lo so, ma voglio fare finta di niente. Voglio continuare a sperare, ad attendere.
    Anche se, sai, credo questo mio dolore sia il più terribile. Non c’è nulla di cui gioire, nulla per cui soffrire.
    I primi giorni ero felice che tu ti prendessi del tempo, sapevo ti sarebbe servito. Ho sempre pensato che ci fosse anche la possibilità che tu, davvero, non mi parlassi più, la possibilità peggiore, ma non ho mai creduto che sarebbe diventata realtà. Però, mentre i giorni scorrevano, la mia buona fede scemava, e ora attendo solo il momento finale in cui mi dirai addio, in un certo modo.
    O magari non avrai nemmeno il coraggio di dirmi addio.
    Ma forse ora capisci perché questo è il peggior dolore al mondo.


    Lysem stringe la penna tra le dita fino a far sbiancare le nocche, serra i denti e la scaraventa dall’altro della stanza.
    Singhiozza, chiude il blocco note e lo sbatte sulle coperte blu. Allunga le gambe sul letto e continua a schiaffeggiare la stoffa con la carta.
    Le lacrime volano sul letto, a terra, sulla copertina rossa del quaderno.

    «Mezz’ora all’anno nuovo!» gli urla Vilsia nell’orecchio. Scoppia a ridere.
    Lysem si massaggia l’orecchio con una mano e stringe gli occhi.
    Vilsia gli appoggia l’indice sulla punta del naso.
    «Lo so che sei triste.» Abbassa le palpebre e annuisce. «Ma ora devi fare finta di niente e divertirti.» Piega la testa di lato e spalanca gli occhi. «Per forza!» urla.
    Salta e ride.
    Lysem annuisce lentamente mentre solleva lo sguardo verso l’alto. Si alza in piedi e porge una mano a Vilsia, nasconde l’altro braccio dietro la schiena.
    «Mi concede questo ballo a Just Dance?»
    Vilsia appoggia la mano in quella di Lysem. «Ma certo, mio cavaliere.»
    Lysem lascia scivolare le dita intorno a quelle di Vilsia e corre verso la porta in fondo al salone. «Scelgo io la canzone!»
    Vilsia lo insegue urlando. «No! Facciamo Gangnam Style!»
    Lysem apre la porta, si infila nella stanza e si tira dietro il pezzo di legno scuro. «Matta!»
    Vilsia batte le mani sulla porta e scoppia a ridere.
    Lysem apre la porta, afferra l’amica e la stringe in un abbraccio. Apre la bocca e ride. Stringe Vilsia più forte.

    Vilsia gli stringe la mano. «Tre. Due. Uno.»
    Lysem le cinge la vita con il braccio. «Duemilatredici!»
    Vilsia sorride, un lampo esplode in cielo e un tuono riempie l’aria, Vilsia chiude gli occhi e incassa la testa tra le spalle.
    Lysem ride, una fontana di scintille blu scende dal cielo. «Auguri!»
    Vilsia si alza in punta di piedi, gli dà un bacio sulla guancia. «Auguri.» Sorride.
    Di fronte a loro, la valle si stende tra colli e colline fino all’orizzonte, punteggiata di luci bianche e arancioni. I fuochi d’artificio riempiono il cielo di sprazzi e schizzi di colore. Le luci si inseguono frizzanti nell’aria scura, esplodono e muoiono in pochi secondi.
    Quanta luce.
    Lysem sorride.
    Non può non portare qualcosa di buono, tutta questa luce.
    Trema.
    Si stringe a Vilsia. Lei appoggia la testa sul suo petto. «Freddo?»
    Lysem scuote appena la testa.
    «È il più bel cielo che abbia mai visto.»
    Vilsia si separa dall’abbraccio e allarga le braccia. «Sì.» Fa un leggero inchino. «Sì, hai ragione.»
    Lysem prende il cellulare dalla tasca. Crea un nuovo messaggio.
    “Tanti auguri!! :D E falli anche a quell’altra tizia, lì! :P
    Invia. Seleziona il numero di Nifer. Invia.
    Hai tempo fino a dopodomani, per rispondermi. Niente più tempo.
    Sospira.
    Niente più tempo.

    Lysem abbatte la mano sul legno chiaro della porta. Arretra di due passi, infila le mani in tasca e abbassa la testa.
    Le pietre sul vialetto, coperte da poca erba bassa, si macchiano delle gocce che cadono dal cielo.
    Lysem deglutisce e suona il campanello.
    «Arrivo, arrivo!» grida Nifer da dietro la porta.
    Lysem serra le labbra, incrocia le braccia sul petto e inspira.
    La porta si apre. Nifer strabuzza gli occhi, rimane nascosto a metà dalla porta, il pigiama rosso si muove appena con il vento.
    Lysem apre la bocca, abbassa lo sguardo e la richiude. Nifer gira la testa da entrambi i lati, i ricci biondi svolazzano nell’aria.
    Lysem stringe le mani intorno alle braccia, annuisce appena e solleva la testa.
    «Non credo di averti chiesto troppo.»
    Nifer tira indietro il capo. «Cosa?»
    Lysem sposta il peso da una gamba all’altra. «Ti ho chiesto solo una cosa. Chiarezza. Non è difficile, credo. Non ti ho chiesto necessariamente comprensione, volevo solo tu mi dicessi “Oh, sì, ok, no problem” oppure “Vaffanculo, stronzo, non voglio più vederti”.»
    Inspira a fondo.
    «Voglio dire, non credo ci volesse troppo, anche solo a rispondermi a uno stupido messaggio di auguri che ti ho mandato tre giorni fa. Era faticoso? Era difficile? Cazzo, immagino quanto fosse difficile mettere in fila qualche lettera! E mi sembra che quello che ti ho detto io fosse molto, molto più difficile da dire.»
    Arretra.
    «Non so nemmeno perché sono venuto qui. Non mi aspetto più una risposta, a questo punto. Forse volevo solo vedere la tua stupida faccia. Cretino, vaffanculo.»
    Si volta e cammina verso il fondo della via. La pioggia gli cade addosso, gli schiaccia i capelli neri sul viso e si infila sotto i vestiti.
    Lysem svolta l’angolo, getta uno guardo indietro e vede solo il muro di mattoni.

    Scivola sul muro, si siede a terra e piange. Raccoglie le ginocchia al petto e vi appoggia sopra il mento.
    «Alla fine, è normale. No?» sussurra.
    Chiude gli occhi e li stringe.
    «È perfettamente normale che non voglia più avere a che fare con me, lo capisco.»
    Tira su col naso, deglutisce e stringe le mani intorno alle gambe.
    «Ma io sono così…ha anche ragione a non volermi più vedere.»
    Dalle casse scoppia la voce di Cristina Aguilera.
    Everyday is so wonderful, and suddenly is hard to breathe.*
    Lysem trattiene il fiato. Ho paura…è tutta colpa mia. Perché devo essere così?
    Now and then I get insecure, from all the pain I’m so ashamed.*
    Sicurezza di me, sì, col cazzo. Singhiozza. Sì, proprio felice di essere me stesso.
    I’m beautiful, no matter what they say.*
    Lysem si schiaccia le orecchie con le mani, lascia scivolare le gambe in avanti e scuote la testa, le lacrime volano a terra.
    I am beautiful in every single way.*
    Lysem appoggia le mani a terra e si alza. Si struscia le dita sugli occhi chiusi, le lacrime muoiono contro la pelle.
    «Sì.» Annuisce. «Cazzo, è lui il cretino.» Sbuffa. «Solo un cretino può pensarla in quel modo.»
    Lysem si siede di fronte al computer.
    Eppure…
    «Eppure perché continua a mancarmi?»
    Un piano suona lento dentro le casse.
    I’m so tired of being here, suppressed by all my childish fears.
    And if you have to leave, I wish that you would just leave.
    Your presence still lingers here and it won’t leave me alone.**
    Perché sei ancora qui, dentro la mia testa? Vorrei solo cacciarti, brutto stronzo, vorrei far finta che tu non esista, come hai fatto tu con me.
    These wounds won’t seem to heal, this pain is just too real, there’s just too much that time cannot erase.**
    E invece sei qui, qui a guardarmi da dentro di me, qui a giudicarmi, a farmi sentire inutile, perché io ho bisogno di te.

    Lysem si alza, le lacrime scendono copiose lungo le sue guance, singhiozza, abbatte un pugno sul muro, si stringe la faccia tra le dita, ringhia sommessamente.
    Scivola a terra e si sdraia sul pavimento, si raggomitola su se stesso, trema.
    La faccia di Nifer lampeggia dietro le sue palpebre. Lysem singhiozza.
    Un amico del cazzo.
    Lysem sbatte le mani al suolo.
    Quale amico si comporta così?
    Urla e trema.
    Eppure io ti voglio come amico, perché chi mai come te? Sei stato il mio primo vero amico, l’unico altro maschio con cui mi sia sentito a mio agio. L’unico che avrei voluto abbracciare, anche se non l’ho mai fatto.
    Lysem si aggrappa al muro con le unghie, si mette a sedere, scuote la testa.
    Avrei dovuto farlo, finché avessi potuto, avrei dovuto farti capire che ti volevo bene. Forse sarebbe andato tutto diversamente.
    Si alza in piedi, cammina veloce verso il computer.
    Forse avresti pensato, ‘ehi, lui è mio amico, devo stargli vicino’.
    Appoggia la mano sul mouse.
    Ma avresti dovuto pensarlo, uguale, cazzo! Avresti dovuto pensarlo in ogni caso, se mi avessi considerato tuo amico.
    Avvicina la freccia alla ‘x’.
    Magari non sai cosa voglia dire amico…o magari. Magari…
    Tira su col naso.
    Magari non mi hai mai considerato tuo amico davvero.
    Il campanello suona.
    Lysem si tira su di scatto, scuote la testa e si pulisce il viso dalle lacrime.
    Apre la porta di camera e scende di corsa le scale. Appoggia la mano sulla maniglia e apre la porta.
    Nifer sorride appena.
    Lysem spalanca gli occhi, trattiene il fiato.
    «Co-cosa?» sussurra.
    Aggrotta la fronte.
    «Sei venuto qui per…non so. Insultarmi? Picchiarmi, magari. Quelli come te fanno così, no?»
    Chiude la porta. Nifer infila un piede nell’apertura e spinge verso l’interno.
    Lysem arretra e abbassa lo sguardo.
    Nifer chiude piano la porta. «Mi hai chiesto due cose.»
    Lysem alza la testa e aggrotta la fronte.
    Nifer annuisce. «Hai detto che mi avevi chiesto una cosa sola, ieri. E invece me ne hai chieste due.»
    Lysem alza le sopracciglia e sbuffa. «Chi cazzo se ne frega.»
    Nifer appoggia la schiena alla porta. «Nella seconda cosa sono stato bravo, non lo sa nessuno. Forse nella prima un po’ meno.»
    Lysem incrocia le braccia sul petto. «E con questo?»
    Nifer alza le spalle. «Ieri ho chiuso la porta e mi sono detto: ‘Guarda quanto sei cretino, Nifer. Devi farti insultare perché non hai nemmeno saputo rispondere a un messaggio di auguri. E il tuo amico è lì fuori, sotto la pioggia, e soffre.’»
    Lysem stringe i denti. «Invece oggi c’è il sole, guarda un po’.»
    Nifer scuote la testa. «Hai ragione, sono stato un cretino, uno stronzo. Non ho trovato la forza fino a oggi per venire qui. Ti meriteresti molto di meglio, da un amico. Però hai me, sempre se ti va bene.»
    Lysem abbassa le sopracciglia sugli occhi. «Dovrei solo mandarti a fanculo e farti uscire di qui. Non sai quanto ti abbia odiato in questi giorni, quanta rabbia ho, quanto avrei voluto prenderti a schiaffi e pugni.»
    Singhiozza, sospira, singhiozza. Si passa una mano sull’occhio destro. «Ma non riesco a fare a meno di te» dice piangendo.
    Nifer si avvicina. «Vuoi un abbraccio?» Allarga le braccia.
    Lysem tira su col naso, annuisce. Nifer lo avvolge e lo stringe a sé. Lysem appoggia la testa sulla sua spalla gli circonda il petto con le braccia.
    «Perdonami» sussurra Nifer.
    Lysem tira su col naso, chiude gli occhi. «Come potrei non farlo?» Inspira a fondo. «Non sono stronzo quanto te.» Sorride.
    Nifer allenta l’abbraccio.
    Lysem stringe più forte. «No, non lasciarmi. Me lo devi perlomeno.»
    Nifer gli accarezza la schiena. «Non è che ci provi, eh? Posso stare tranquillo?»
    Lysem da uno schiaffo sulla schiena dell’amico. «Te l’ho detto, no. Ti voglio come amico.»
    Nifer stringe più forte e lo scuote. «Bene.» Inizia a ridere e tremare.
    Lysem si scioglie dall’abbraccio e si sposta in sala, si siede sul divano, Nifer gli si sistema accanto.
    Gli sventola un foglio bianco piegato di fronte al viso.
    «Che ci facciamo con questa?»
    Lysem strabuzza gli occhi. «Devi tenertela!»
    Nifer alza il mento. «E se la leggesse qualcuno?»
    Lysem scuote la testa. «Confido che la terrai al sicuro.»
    Nifer apre la bocca, Lysem alza una mano. «E anche se dovesse succedere…be’, non ho problemi finché…finché non diventerai stronzo un’altra volta.»
    Nifer getta il foglio sul basso tavolino di fronte a loro, il pezzo di carta si spiega, le lettere nere stampate si intrecciano sullo sfondo bianco.
    Lysem appoggia la testa sulla spalla di Nifer. Nifer sbadiglia.
    «Qui le cose si fanno troppo intime. Non è che ora mi chiederai di succhiarmelo?»
    Lysem solleva la testa e ride. Da un pugno sulla spalla dell’amico. «Smettila scemo!» Si asciuga gli occhi dalle ultime lacrime.
    «Certo, se tu mi chiedessi di farlo…» Fa l’occhiolino e Nifer spalanca la bocca. Lysem sorride. «Non mi rifiuterei di certo.»
    Nifer gli da uno scappellotto e Lysem gli fa la linguaccia.
    Nifer sorride, appoggia la testa al muro e scoppia a ridere. Lysem chiude gli occhi, inspira a fondo e sorride.

    Ciao Ni.
    Cazzo, ho scritto solo due parole e sembra tutto già così deprimente. Be’, forse un po’ lo è.
    Voglio dire, se uno scrive una lettera così è perché non ha la forza di parlare, no? Quindi chissà cosa deve dire…
    Io lo so, so che devo parlarti con le lettere stampate, perché perderei la voce se provassi ad affrontare l’argomento con te. Perché so già cosa ne pensi, ma voglio dirtelo ugualmente.
    Sei mio amico.
    Il mio primo, vero amico.
    E voglio essere sincero con te, completamente sincero.
    Sono un assassin…ehm, no. Mi sa che ho sbagliato cervello. Oi, magari quello che ti voglio dire è meglio, anzi spero decisamente lo sia.
    Sono gay.
    Quanta cazzo di forza di volontà mi ci è voluta per scriverlo. E se leggerai queste parole vorrà dire che mi sarò spremuto fino all’ultima goccia di energia per consegnarti la lettera.
    Ecco, e ora piango mentre scrivo.
    Io so che ogni tanto insulti…quelli come me. Ma spero sia solo perché sì, per conformismo o qualcosa del genere, spero che, perlomeno, tu sia disposto a cambiare idea.
    Comunque, qualunque cosa tu decida di fare nei miei confronti, ti prego, non dirlo a nessuno. Credo tu sappia che mi renderesti la vita un inferno, o qualcosa giù di lì.
    E, ti scongiuro, non fare l’indifferente. Fammi capire quello che pensi, non lasciarmi lì, nell’oblio dell’incertezza, a soffrire.
    Sto piangendo e tremando, adesso.
    Perché ho paura di non sentirti più, di non vederti più, ho paura che mi lascerai andare, mentre io non voglio perderti.
    A presto, spero.
    Buon Natale. Ti voglio bene.


    ____________________________________________________________________
    * Beautiful - Cristina Aguilera
    ** My Immortal - Evanescence


    Edited by Shalentir - 20/9/2013, 13:13
     
    Top
    .
2 replies since 24/12/2012, 14:33   114 views
  Share  
.